L’inizio appare come lo straniero di Camus: la madre che muore, panorama sulla famiglia e su un padre, opposto di quello di Kafka, stimato (si legge fra le righe) e su una società che appare brillante all’inizio e, benché piena di ostacoli da superare (per eguagliare i giganti di famiglia), splendida nell’immaginario del ‘ragazzo’ che si avvia alla scoperta e alla realizzazione dei sogni e, quindi, della vita. Finale imprevedibile.
Un linguaggio scorrevole, quasi precipitoso (come da titolo “Precipitare”) ricco di ironia e autoironia fino allo scontro mai accettato con rassegnazione o lamenti, con la realtà di quel mondo dell’effimero proposto così tanto alle giovani generazioni che spesso viene scambiato per realtà.
Uno sguardo attento e lucido su ciò che sta accadendo da oltre 25 anni, da quando cioè la televisione ha cessato di essere strumento di più ampia conoscenza per sprofondare nel delirio del futile, del volgare, dell’inutile.
Un bel libro, attuale (ricorda Ammaniti) per gli spunti sulla società italiana che altri narratori evitano di raccontarci.