L'apparenza delle cose
di Elizabeth Brundage
Non è possibile incasellare il
romanzo “L'apparenza delle cose” in un solo genere letterario: noir, romanzo
gotico, romanzo psicologico, narrativa; non si può perché c'è tutto e tutto è narrato
con una bravure, una grazia, uno sguardo, una prosa capaci allo stesso tempo di
commuovere e inquietare.
Il romanzo si apre con un
omicidio efferato: George Clare, professore di storia dell'arte, rincasando dal lavoro trova sua moglie, la
bella, giovane Cathrine Clare, uccisa con un colpo d'accetta in testa e la loro
figlioletta di tre anni, Franny, che pare abbia vegliato tutto il giorno la
“mamma malata”.
Si direbbe un thriller ma è
proprio qui che la scrittrice ci stupisce e cattura con tutta una serie di
flashback che raccontano la vita della giovane coppia da poco trasferitasi a
Choosen (cittadina immaginaria) nella provincia dello stato di New York; la
storia della famiglia che abitava prima la casa dei Clare e della tragica fine
dei proprietari; dei figli di questi ultimi, rimasti orfani, accolti in casa
dallo zio Rainer; la storia di Mary, l'immobiliarista che mostra la casa ai
Clare e quella di suo marito Travis, lo sceriffo, che indagherà sull'omicidio.
La vita di una bucolica cittadina nella Hudson River Valley, i suoi incantevoli
panorami, gli inverni rigidi, una piccola comunità unita, ma, come spesso
accade, solo in apparenza. Tutto il romanzo ruota attorno al concetto di
“apparenza” intesa come manifestazione esteriore che non corrisponde alla
realtà.
Prendo in prestito le parole di
uno dei personaggi per descrivere la sensazione che si prova durante la
lettura: “L'anima vede quello che l'occhio non può vedere”...sappiamo, nel
profondo, ma lo vogliamo veramente ammettere?